mercoledì 25 luglio 2012

pensiamo troppo e sentiamo poco

essere "affettuosi" dipende da tante cose:
dall'ambiente familiare in cui siamo cresciuti,
dall'importanza che diamo alle dimostrazioni in pubblico
dal nostro personale livello d'imbarazzo verso il prossimo
e dalla leggerezza con cui ci rapportiamo ad esso.
dovremmo riscoprire l'importanza dei gesti che fanno
stare bene l'altro
preparare un caffè, cedere un posto, scambiare 4 chiacchiere,
aiutare con una busta della spesa, preparare una torta,
fare una carezza, essere presenti, dare un bacio con lo schiocco, accorciare la distanza
non solo con le persone che conosciamo
ma anche con quelle che magari non condivideranno nient'altro
con noi che qualche secondo delle reciproche esistenze.
la cosa triste è che qualcuno penserà
che sono idee banali e buoniste
e per me questo rappresenta la prova del fallimento imminente
del pensiero occidentale:
non si tratta di essere tutti amici,
ma di capire l'importanza dell'altro al di fuori di noi
un'importanza che non deve avere un fine (ancora il pensiero occidentale?)
e nemmeno deve esse un mezzo per farci stare meglio con noi stessi
(chiaramente sintomo di una patologia preesistente
per cui si entra nel tunnel del "io do a te tu dai a me",
una lama a doppio taglio)
ma che deve tendere alla riscoperta
del legame reciproco
del circolo virtuoso.

"la generosità è innata, l'altruismo è una perversità acquisita"

"da ragazzo i miei continui e disinteressati slanci di altruismo
mi diedero la fama di buono. 
da grande quella di fesso"
m.troisi


"molti affetti sono abitudini o doveri che non troviamo il coraggio d'interrompere"
e.montale








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